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Dr. Damjana Bratuz
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In Italian - Intervista

Intervista

IL MONDO DELLA MUSICA
RASSEGNA INTERNAZIONALE TRIMESTRALE DI VITA MUSICALE
CONCERTI-OPERA-BALLETTO
ANNO XXXII – II TRIMESTRE 1994 – N. 124 [50], pp.14-15.

Intervista a
Damjana Bratuz,

The University of Western Ontario

Nativa di Gorizia, Damjana Bratuz lascia l’Italia nel 1958 in possesso di un diploma in pianoforte acquisito a Trieste, corsi di perfezionamento con C. Zecchi (Salisburgo) e A. Cortot (Parigi) e una esperienza biennale presso la radio slovena triestina, con programmi di educazione musicale. Alla ricerca di una più qualificata preparazione professionale, che l’Europa non offriva, si guadagna la borsa di studio Fulbright per trasferirsi negli USA, prima a St. Louis (Master’s degree) e quindi all’Indiana University (Bloomington) per il Docter’s degree in piano literature and performance; con lo scopo di rientrare in Italia (grazie a una annunciata riforma degli studi mucali che, amara ironia, non è mai stata varata) con la preparazione necessaria per insegnare a livello universitario.

Perché l’America?

“Mi aveva colpito il tipo di laureato che poteva uscire da questo sistema di studi: lo storico il musicologo il teorico che contemporaneamente fosse eccellente esecutore: all’Indiana l’esame di ammissione prevede tra l’altro una prova scritta di storia della musica su quattro periodi, e una di ascolto, con argomentazione di cinque stili. Proprio per la mia preparazione in un conservatorio italiano, a detta della commissione, l’esito positivo fu considerato una rarità! Ancora oggi il solo diploma di conservatorio non è sufficiente, come del resto in Italia, per l’accesso all’università. E’indispensabile una preparaziones accademica più  solida, che vada al di là della tradizionale esecuzione strumentale. Inoltre al dottorato si può accedere solo dopo i due anni del Master’s, che segue i primi quattro anni universitari; l’approfondimento di un vasto repertorio di stili e tecniche esecutive viene verificato in numerosi concerti pubblici, conferenze, esami scritti e orali, saggi, tesi, ecc.”

Già docente di pianoforte, letteratura pianistica e musica da camera presso la Faculty of Music della University of Western Ontario (London), in questi anni ha saputo construirsi una riconosciuta e apprezzata competenza quale concertista (il “Washington Post”, segnalando la rarità di una pianista che negli anni ’60 osava presentare in concerto l’ultimo Listz, apprezzava l’interpretazione “di enorme interesse musicale, che unisce l’immaginazione all’accademia”), quale insegnante (molti suoi allievi sono attivi e apprezzati internazionalmente) e nella divulgazione, specialmente dell’opera di Béla Bartòk: “l’elemeno folklorico dal punto di vista dell’esecuzione”. Proprio per quest’ultimo impegno, nel 1981, è risultata fra i tre canadesi insigniti dell’onorificenza per il centenario di Bartòk, dal Governo ungherese, riconoscendole decenni di studi e ricerche.

Come mai in Canada?

“Dopo la laurea, quale exchange visitor ero obbligata a lasciare gli Stati Uniti per almeno due anni e mi sono trasferita in Canada; l’Italia del resto, a riforma non avvenuta, non mi forniva nessuna possibilità che gratificasse i miei sforzi e valorizzasse i successi raggiunti dopo il dottorato. In Canada viceversa mi veniva offerta la possibilità di una carriera universitaria molto lusinghiera, e con soddisfazione ho seguito lo sviluppo delle strutture universitaire e i risultati artistici e didattici di una, ora, fra le migliori Scuole.

Cosa ritrova dopo 33 anni di assenza dall’Italia?

“Un panorama ricco di fermenti propositivi da una parte e la totale inerzia statale dall’altra, ancor più sul versante che meglio conoscevo dei conservatori di musica. Vecchi amici di scuola mi confessano il loro scoraggiamento, la frustrazione, per essere ancora fermi alle modalità e ai programmi del 1930, quelli che io ho affrontato. Ho scoperto che troppi neodiplomati e neolaureati si trovano nelle stesse condizioni che hanno procurato la mia partenza tanti anni fa”.

Il suo rientro è favorito dall’ Università del Western Ontario, con quale finalità?

“Le università [nord]americane incoraggiano l’aggiornamento incentivando (merit-pay) i contributi dei propri docenti (esecutore – ricerceratore - insegnante) perchè il risultato è una qualificazione in senso circolare: l’immagine dell’istituto – la qualità dell’insegnamento – il profitto degli allievi. La mia ricerca a Bologna, incoraggiata come premio per il mio lavoro interdisciplinare degli ultimi anni, è indirizzata a raccogliere informazioni su quello che si sta facendo a livello universitario. So che molte università italiane hanno oggi qualificati insegnamenti di storia musica. Il mio progetto è di ricerca interdisciplinare: da un lato sondare la problematica dell’esecuzione nel quadro della teoria della recezione e dell’ermetica, e dall’altro investigare il nuovo modello teorico del DAMS, in cui l’interdisciplinarietà è asse portante della preparazione postliceo e postconservatorio”.

Può già tentare un riassunto di questo esperienza?

“Come dicevo ho trovato un generale e vivo interesse verso la ricerca, di cambiamenti, di miglioramenti. Oltre quello che già sapevo (il nuovo programma di Cremona) ho scoperto molte realtà sperimentali: Fermo, il centro per la didattica di Fiesole che funziona malgrado l’assenza dello Stato, Imola, licei in vari conservatori (in particolare ho conosciuto quello di Parma, i cui lavori di analisi non sfigurerebbero al nostro livello universitario) e poi ancora una proliferazione di convegni, dibattiti sulla didattica, ricerche nelle Regioni, saggi, ecc, di cui ammiro la qualità superiore. Tutto questo patrimonio tuttavia, come altri hanno già messo in evidenza, andrebbe coordinato verso interventi organici e sistematici per evitare, cosi come appare, quello che chiamerei l’effimero istituzionale. Gli sforzi individuali, notevoli, sembrerebbero vanificati dalla mancanza di circolazione delle informazioni. Si arriva cosi a uno sperpero di risorse umane, di talenti, molto simile, anche se con modalità diverse, a quanto succede nel Nord-America. Credo comunque che queste iniziative, proprio perchè indirizzate ai giovani in età preuniversitaria, potrebbero portare a risultati di livello superiore a quello americano”.

Quale crede siano i mali istituzionalizzati?

“Penso senz’altro alla totale mancanza di autonomia delle istituzioni. Bisognerebbe favorire un meccanismo interno adatto alla operatività delle specifiche funzioni. Ho sentito di grosse difficoltà burocratiche persino per riparare una finestra, e via via fino ai più complessi problemi pedagogico-didattici. L’autonomia delle scuole americane offre un buon esempio funzionale”.

E quelli peculiari all’insegnamento?

“Manca ancora una preparazione sistematica pedagogica alla pratica d’insegnamento. In Canada il docente di musica viene scelto dai comitati di dipartimento, eletti dal Consiglio di facoltà e dai rappresentanti dgli studenti, e passa attraverso una attenta verifica della qualità di preparazione, non solo dei titoli, ma soprattutto di quello che produrrà durante i tre anni di prova. Certo non è sufficiente la “chiara fama” e men che meno [...? missing] delle generiche leggi per il ruolo. La stessa modalità vale per il direttore o il preside. I risultati sono importanti, si pensi al revival oltreoceano di stili, di repertori dimenticati, affidati a specialisti, sicuramente frutto di un insegnamento che garantisce i migliori risultati dalle ricerche alla didattica. La stessa autonomia dovrebbe valere per la scelta dei libri di testo e per la struttura degli esami, in questo modo ogni scuola acquista un proprio indirizzo, attirando specifici docenti e offrendo agli allievi curricula molto armonizzati”.

Dalla parte degli studenti?

“Anche per loro esiste una verifica continua a tutti i livelli. La mia preoccupzione è quella di fornire agli studenti canadesi le migliori condizioni per sfruttare le svariate possibilità di lavoro, valorizzando cosi le loro potenzialità. Una mia ricerca del 1984 sugli sbocchi professionali dei nostri laureati, ha messo in rilievo che anche in Canada le materie non sono sufficientemente correlate: non si sfruttano quindi al massimo le varie competenze. Gli studenti hanno inoltre ottime occasioni per continuare gli studi offerte dal Canada Council la cui chairman Maureen Forester, famosa contralto, ha dichiarato che per questa generosità paga molto volentieri le salate tasse dello Stato. In Italia credo che, per mancanza di informazioni, è un pò più difficile accedere alle borse di studio”.

In generale che ne pensa della vita musicale in Italia?

“L’italiano ha maggiori opportunità di vivere con la musica: rassegne di qualità, istituti, riviste sollecitano e favoriscono quotidianamente un contatto con la musica. Ho visto che sono tradotti in italiano gli scritti di Gould, Shafer, Nattiez, Sheperd, e i giovani li leggono e li conoscono più che in Canada. Il pericolo è quello di farsi influenzare dai lati negativi di derivazione americana, invece di sfruttare e sostenere adeguatamente un patrimonio culturale unico e insostituibile, cosi da assegnare alla musica un posto di rilievo nella vita culturale italiana. Il sogno potrebbe essere quello di creare un processo di simbiosi, il giusto equilibrio fra le due potenzialità: il patrimonio culturale europeo e l’efficienza formativa e tecnologica nord-americana”.

Graziano Ballerini
[Professore di Storia dell Musica
presso il Conservatorio di Musica Arrigo Boito di Parma]

 

E-mail: dbratuz@uwo.ca
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